La città alienante e la riqualificazione

“L’urbanistica è la presa di possesso dell’ambiente naturale e umano da parte del capitalismo che, sviluppandosi logicamente come dominazione assoluta, può e deve ora rifare la totalità dello spazio a propria immagine.”
Guy Debord.

Da La Sicilia, 15 Settembre 2021

L’intervento delle forze dell’ordine, infatti, ha consentito di restituire alla città una parte dell’ex Monastero Sant’Agata – immobile settecentesco ubicato in via Madonna del Rosario – occupato abusivamente da molto tempo e lasciato al degrado e all’incuria. “Uno dei palazzi di grande pregio architettonico e di disarmante bellezza del nostro Centro Storico, che ormai era diventato un corpo estraneo nel quartiere”, come commentato dal sindaco della città etnea Salvo Pogliese, che ha annunciato anche il finanziamento di circa 9 milioni di euro da parte del ministero delle Infrastrutture, per la realizzazione di un progetto di ristrutturazione dell’immobile da destinare ad hub turistico e della mobilità sostenibile.

Ripubblichiamo un contributo del 2017 sulla gentrificazione dei centri storici siciliani; dibattito che rimarrà purtroppo attuale perché il capitale predatore ha bisogno di distruggere l’esistente per ridare ossigeno ad un sistema che ogni giorno di piu’ precipita. Non basteranno i vaccini ed il green pass, strumenti di manipolazione ed ammaestramento delle masse. Occorrono anche “spazi pubblici” che possano reciclare nuovi investimenti e servire da anestetico sociale .

Date a un uomo una pistola e lui può rapinare una banca. Date a un uomo una banca e lui può derubare il mondo.
(Anonimo)

Ma chi decide il futuro urbanistico delle nostre città ? Non di certo i suoi abitanti tenuti fuori dai processi decisionali di un sistema politico-economico che vede i suoi cittadini come attori passivi e consumatori o come individui da isolare nei ghetti popolari in quanto esteticamente non compatibili nella trasformazione turistico-alienante del centro.I legittimi utenti, relegati nel loro ruolo di “visitatori” invitati a deambulare come turisti nella loro stessa città, devono per quanto possibile essere messi al riparo dalla presenza dilagante e dalla semplice vista degli emarginati della “globalizzazione” e della “flessibilità”, sempre sgradevoli in questi luoghi rimodellati per il consenso.

Il sociologo francese Henri Lefebvre, scriveva nel suo libro, Il diritto alla città, «L’urbanista sa distinguere gli spazi malati da quelli legati alla salute mentale e sociale, generatori di questa salute. Medico dello spazio, egli ha la capacità di concepire uno spazio sociale armonioso, normale e portatore di norme. Di quale particolare malattia soffre il nostro perché gli si debba somministrare una cura “ludica” ? E secondo quali norme questo spazio dovrà essere riconfigurato e usato affinché si possa dire che esso, assieme a chi lo frequenta, ha recuperato la salute?
Osservando le prime immagini di questo sviluppo urbanistico è chiaro il carattere di „centro commerciale“ all’aperto che si vuole dare ai nostri quartieri. Architettura omogenea, estranea ed alienante.

L’architettura é, si dice, la madre delle arti. Ma quando una madre comincia sistematicamente a far strage dei suoi figli, essa non é piú una madre, ma un mostro.
(Asger Jorn )

Non siamo a priori contro nuovi spazi urbani , cosi’ come non siamo fautori della conservazione di luoghi brutti della nostra città. Siamo a favore di creare ambienti urbani consoni alla cultura di quelli esistenti, luoghi del vivere e non del passaggio obbligato al consumo. Luoghi di produzione creativa e di scambio cosi come erano le polis greche: labirinti nei quali perdersi nel gioco della felicità e dell’amore. Luoghi produttori di una nuova cultura della solidarietà. Una nuova città, la nostra che ha da venire. Una visione insomma, in netta contrapposizione a chi ci vuole consumatori e persone passive. Noi crediamo che le costruzioni urbane nelle nostre città abbino altre priorità: basti pensare alle svariate istituzioni pubbliche, ospedali, scuole, università asili nido del tutto fatiscenti. Luoghi questi importanti per diritto ai cittadini.

Con il pretesto della “riqualificazione” degli spazi pubblici, già da qualche tempo avviene la messinscena di una “urbanità” liscia, di una vita cittadina incivilita, nel senso più ampio del termine. Per contrasto, essa fa percepire come ancor più ingombrante se non addirittura insopportabile la presenza di tutti quelli che inquinano, anche solo visivamente, l’ambiente.

Questa logica si combina con un’altra, altrettanto dilagante: quella della mercificazione che ha trasformato in larga misura lo spazio pubblico in spazio privativo per quanto riguarda le persone che non possono consumare. Onnipresenza della pubblicità, continua e crescente intromissione da parte dei dehors di bar e ristoranti, e delle bancarelle (se non addirittura delle baracche) dei negozianti, eliminazione o trasformazione delle panchine pubbliche, comparsa di un arredamento urbano concepito per canalizzare e controllare i flussi, proliferazione di telecamere di sorveglianza… Lo spazio pubblico sembra essere risucchiato in un processo di privatizzazione di fatto, poiché diventa sempre meno accessibile a tutti quelli che, per un motivo o per l’altro, sono sprovvisti dei mezzi per poterne fare un uso diverso rispetto a quello prescritto: quello di galleria commerciale a cielo aperto.

Questi piani di omologazione urbana non riguardano ovviamente solo la città di Catania, ma hanno riguardato e riguardano ogni città europea. Un altro esempio recente e la trasformazione del centro storico di Siracusa, Ortigia, in un grande centro commerciale dove tutto viene trasformato in merce. Gli abitanti storici sono stati deportati negli anni 80-90 nelle periferie dormitorio. I luoghi d’incontro sono stati sostituiti dai tavolini e sedie o da fastidiose telecamere che osservano la nostra misera esistenza. Non esiste più la cantina della “zia Ciccina” né le sedi di cospirazione e aggregazione politica. Gli artigiani hanno lasciato posto all’economia della globalizzazione che ci soffoca in una società alienata. Il poeta Fernando é morto e con lui le anime della produzione artistica popolare. L’unico cinema é chiuso; l’unico teatro mai riaperto é espressione della decadenza politica degli uomini politici fautori della bruttezza. L’alienazione tipica della produzione nelle fabbriche ha invaso e regola ogni rapporto umano. L’unico ruolo della non vita é quello del consumatore annientato e autoschiavizzato.

Oggi si assiste, se così si può dire, a una sorta di disneylandizzazione degli spazi urbani dove pubblicitario fa rima con securitario, anche se si cerca di dissimulare quest’ultimo per mezzo di artefatti estetici avvalendosi di urbanisti, architetti, paesaggisti e artisti figurativi di vario tipo. In uno spazio ben delimitato, spezzettato, gerarchizzato e controllato l’utente sarà d’ora in avanti spinto a comportarsi come un consumatore e uno spettatore, ma anche come un attore di simulazioni festive nell’ambito di “eventi” programmati dalle autorità.

Il fatto è che la promozione dello spazio pubblico come luogo per eccellenza di una urbanità al tempo stesso rivitalizzata e rinnovata viene fatta da una molteplicità di attori interessati: amministratori locali, commercianti, proprietari, promotori, agenti immobiliari… Una miriade di designer trovano così anche il loro tornaconto, che si tratti di progettisti incaricati di pensare alle “attrazioni”… o “creativi” (nel campo della pubblicità e delle comunicazioni) incaricati di fabbricare i “concetti” destinati a renderle attraenti.

I legittimi utenti, relegati nel loro ruolo di “visitatori” invitati a deambulare come turisti nella loro stessa città, devono per quanto possibile essere messi al riparo dalla presenza dilagante e dalla semplice vista degli emarginati della “globalizzazione” e della “flessibilità”, sempre sgradevoli in questi luoghi rimodellati per il consenso.

La posta in gioco delle trasformazioni in atto dello spazio pubblico è, lo si sa, per prima cosa economica. Quando si parla di “rivalorizzare” certi quartieri degradati o certe zone lasciate all’abbandono, si tratta oggi come ieri di valorizzarli dal punto di vista finanziario. Quindi non torneremo su chi tradizionalmente si avvantaggia dalla messa all’asta dello spazio urbano, per i quali la città è in vendita e fa vendere.

Per dissipare i timori e tranquillizzare gli spiriti, gli spazi pubblici dovranno essere non solo rassicuranti ma anche euforizzanti. In materia di “pulizia”, dunque, non sarà sufficiente cancellare gli individui la cui presenza è giudicata inopportuna. Questa operazione sarà anch’essa occultata. Per poco che una strada o una piazza siano rimesse a nuovo in maniera spettacolare, il loro carattere inospitale nei riguardi degli “Indesiderabili” passerà inosservato.

Sotto l’effetto di questa trasmutazione al tempo stesso materiale e simbolica dello spazio pubblico, che si presume possa mettere tra parentesi, in mancanza di poter mettere fine, alle fratture e agli antagonismi che attraversano il mondo urbano, si crea una città impersonale e intercambiabile popolata da cittadini senza altra appartenenza di quella a una Città radiosa di nuovo tipo. Attraverso l’ideale tipo di una popolazione entusiasta, unita e che partecipa, celebrata in continuazione da dépliant pubblicitari e articoli compiacenti, si profila il cittadino modello di un avvenire urbano già scritto nel presente.

La città che sogniamo aperta , meticcia e solidale é un’altra. Ci piace pensare alla città del Sole e di Utopia dove l’Homo Ludicus soppianti l’Homo Economicus. Pensiamo ad un centro storico dove all’interno dei suoi labirinti e castelli sia possibile ancora di giocare e di amare.Vi abbiamo sopportati per anni . Il vostro tempo delle mummie é scaduto.Tocca a noi riprenderci la città. Presto festeggeremo il nostro ritorno.