Gianfranco Faina, un comunista libertario

Dalla pagina Facebook di Davide Steccanella un ritratto di Gianfranco Faina, professore universitario, leader della frazione più radicale del Movimento genovese, transitato nelle Brigate rosse per poi dar vita ad Azione rivoluzionaria, un comunista libertario. La libertà provvisoria gli fu concessa solo quando l’avanzamento del tumore lo aveva già condannato a morte.

L’11 febbraio del 1981 moriva a 46 anni per una grave forma tumorale nell’abitazione di Pontremoli dove si trovava in libertà provvisoria da 2 mesi, dopo una lunga carcerazione e quando oramai era condannato a morte, il Professore di Storia dei partiti politici all’Istituto di Storia moderna dell’Università di Genova, Gianfranco Faina.

In un volantino fatto stampare il giorno dopo la sua morte si legge: “Il compagno Gianfranco Faina è morto. Lo hanno accompagnato fino in fondo la violenza e la disumanità dei suoi nemici, dei nostri nemici: le forze dello Stato e di coloro che aspirano a farsi Stato. Ma noi compagni che abbiamo condiviso con lui lotte politiche e passioni rivoluzionarie riconosciamo la sua vita, la sua storia come patrimonio delle vittorie e degli errori della lotta rivoluzionaria per la libertà”.

Chi era Gianfranco Faina

Gianfranco Faina muore a Vignola (Pontremoli) l’11 febbraio 1981 all’età di 46 anni. È stato lì trasferito morente dall’Ospedale Tumori di Milano, poche settimane dopo la scarcerazione dallo «speciale» di Palmi a seguito di tardiva concessione della libertà provvisoria per le sue ormai com­promesse condizioni di salute. È in carcere dal giugno 1979 come militante di Azione Rivoluziona­ria, gruppo armato clandestino alla cui costituzione nel 1977, con Vito Messana e Salvatore Cinieri, ha dato un impulso determinante. Azione Rivoluzionaria, cui hanno aderito circa un centinaio di compagni, si è caratterizzata nella sua breve esistenza, rispetto alle altre formazioni armate di profi­lo nazionale come le Brigate Rosse, i NAP e Prima Linea, per una struttura basata su piccoli gruppi di affinità, in luogo di colonne o squadre, e per la matrice anarco-comunista dei suoi componenti. Le azioni armate, in genere dimostrative ma talvolta anche cruente, si sono particolarmente concen­trate sui mass media (vedi il ferimento del giornalista de «l’Unità» Ferrero e l’azione contro le Edi­zioni Paoline rivendicata da Azione Rivoluzionaria Femminista), oppure sono state orientate dal tema del­la «riparazione sociale»: vedi il ferimento del medico del carcere di Pisa Alberto Mammoli, che non aveva ritenuto di dover curare l’anarchico Franco Serantini, morto nel 1972 in carcere dopo un pe­staggio subito successivamente all’arresto; [3] oppure l’attentato all’IPCA di Ciriè, un colorifi­cio tori­nese «fabbrica» di centinaia di morti per cancro alla vescica. [4] Nel 1980 lo stesso Faina assie­me ad altri militanti dichiara, nel corso del processo per il sequestro a scopo di autofinanziamento dell’armatore livornese Tito Neri, l’autoscioglimento dell’organizzazione a seguito «della constata­zione dell’inadeguatezza degli strumenti e dei mezzi» per praticare contenuti e obiettivi teorici dei quali comunque non si riconosce il superamento o la sconfitta. Prima di partecipare alla fondazione di AR, Gianfranco Faina ha fatto parte per alcuni mesi (fino al mese di ottobre del 1975) delle Bri­gate Rosse, più precisamente ha partecipato alla fase di costituzione inizialmente movimentista e trasversale della loro colonna genovese. Di fatto Faina, quale figura di spicco del movimento, ha contribuito a introdurre le Brigate Rosse a Genova, considerato che anche dopo il sequestro del giu­dice Mario Sossi (aprile 1974), che come ormai noto era stato organizzato e gestito «da fuori», l’organizzazione nel capoluogo ligure era sostanzialmente assente, ad eccezione di una rete anche significativa di contatti e relazioni «irregolari»; solo successivamente, con l’ingresso nell’organizza­zione di militanti provenienti da altri gruppi – in particolare dalle piccole formazioni marxiste/leni­niste e da Lotta Continua –, l’organizzazione assumerà una configurazione omogenea alle altre co­lonne del Nord Italia, con militanti e radicamento locali, e intraprenderà un percorso progressiva­mente terrorista e omicidiario. Faina, assieme ad alcuni del gruppo che a lui fanno riferimento, è en­trato nelle Brigate Rosse nella spontanea e anche ingenua convinzione di poter replicare «in grande» una situazione gappista e di poterla governare, in continuità con l’appoggio dato qualche tempo pri­ma al cosiddetto gruppo «22 ottobre», subito dopo gli arresti e ancor più nelle fasi processuali, e nono­stante la forte e inequivocabile connotazione leninista e financo stalinista dell’organizzazione, te­nendo ben presente che Faina già da diversi anni aveva maturato un distacco radicale dal lenini­smo. Prima di allora Faina era stato in contatto con la struttura illegale di Potere Operaio poco pri­ma del­lo scioglimento; successivamente con quella dell’Autonomia operaia e poi ancora con Senza Tre­gua. Fino a quel momento si è trattato, tuttavia, di esperienze a supporto ed esplicitazione delle fina­lità dell’azione politica, il cui orizzonte è comunque considerato centrale. La svolta lottarmati­sta di Faina matura tra il 1974 e il 1975, quando si esaurisce l’esperienza del nuovo movimento di Balbi, al termine delle varie occupazioni susseguitesi tra il dicembre 1972 e il 1974. È di quello stesso pe­riodo l’attività svolta, assieme ad altri compagni, con il Collettivo Editoriale Genova. Fai­na, che è all’epoca professore incaricato di Storia dei Partiti Politici a Genova, vi pubblica alcuni ti­toli, tra i quali il volume collettaneo Gauchisme, marxismo e rivoluzione co­munista (aprile 1975), su cui mi soffermo, che già in copertina («La coscienza che viene dall’ester­no è la forma più reifica­ta, estraniata, della coscienza repressiva») annuncia il contenuto anti-lenini­sta e il carattere liberta­rio e anarchista del comunismo concepito da Faina e dagli altri autori. In que­sta opera (curata, oltre che da Gianfranco Faina, anche da Roberto Sinigaglia, Luigi Grasso, Riccar­do Degl’Innocenti, Emilio Quadrelli e da Mimma Castellucci, quest’ultima non citata tra gli autori nella pubblicazione) si assume, nell’analisi delle vicende secolari del movimento operaio e proleta­rio, il punto di vista gauchiste, così come questo si è costituito a partire dal Maggio francese: è il Maggio francese, emergenza improvvisa della rivoluzione moderna (non «l’eterna rivolta dei giova­ni» ma la «moder­na gioventù della rivolta»), che impone, con la rimessa in discussione delle coordi­nate interpretative della realtà esistente, la riconsiderazione della storiografia ufficiale e dell’orto­dossia marxista, a partire dalle esperienze minoritarie e dimenticate, o volutamente ignorate, del gauchisme storico: Gorter, Pannekoek, il KAPD, la critica del sindacato e del partito e i consigli operai. Queste espe­rienze sono tuttavia rappresentate come il fermento critico che ha accompagnato l’ascesa e la scon­fitta del movimento operaio e delle sue ideologie, e quindi ci si guarda bene dal ri­proporle, in quan­to il loro recupero costituirebbe una ennesima fissazione ideologica, essendo l’essenza del gauchi­sme il «pensarsi come unità di critica, teoria e pratica» che abolisce e demistifi­ca in permanenza tut­te le ideologie, oltre che il manifestarsi in appoggio a qualsiasi lotta sconvolga la logica corrente e l’area del prevedibile, del programmabile e del recuperabile da parte del potere. Prendendo spunto dalle riflessioni di Jacques Camatte, si sostiene che il ciclo della classe operaia è terminato, in quanto i suoi obbiettivi sono stati realizzati e perché essa non è più su scala mondiale un soggetto determinante.

Le campagne di Azione Rivoluzionaria

Una delle prime azioni militari è il ferimento del medico del carcere di Pisa, Alberto Mammoli (Pisa 30-3-77) ritenuto colpevole della morte a Pisa dell’anarchico Franco Serantini (Pisa 7-5-72) a seguito delle percosse subite in Questura al momento dell’arresto e non curate dai dirigenti sanitari del carcere. Tra marzo e settembre del 1977 AR sviluppa la sua presenza in Lombardia, Piemonte, Toscana e Liguria.

Con un ordigno esplosivo contro la sede torinese del quotidiano La Stampa (17-9-77) ed il ferimento intenzionale di Nino Ferrero, giornalista del quotidiano L’Unità (18 9-77), AR dà avvio ad una campagna nazionale contro “le tecniche di manipolazione finalizzate al consenso” messe in atto dai grandi media. In particolare, il quotidiano La Stampa viene colpito per la gestione che ha fatto delle notizie relative alla morte, avvenuta a Torino il 4 agosto 1977, di Aldo Marin Pinones ed Attilio Di Napoli, due militanti dell’organizzazione.

Questa campagna prosegue nel 1978 con l’attentato agli uffici amministrativi del Corriere della Sera (Milano 24-2-78) e alla redazione di Aosta della Gazzetta dei Popolo (Aosta 29-7-78). Il 19 ottobre 1977, a Livorno, un gruppo di militanti tenta di sequestrare l’armatore Tito Neri, ma il sequestro fallisce e vengono arrestati. Nell’aprile del 1978 AR fa la sua comparsa anche a Roma collocando tre ordigni esplosivi contro la sede del Banco di Roma, il concessionario della Ferrari e un autosalone di via Togliatti.

Nel giugno del 1978 AR firma, ad Aosta un attentato contro la sede della Democrazia Cristiana. Nella rivendicazione essa chiede che venga “revocato il permesso concesso al Movimento Sociale Italiano di continuare a parlare nella piazza di Aosta” (18 e 19-6-78). Le tesi generali di AR vengono ampiamente esposte nel documento “Appunti per una discussione interna ed esterna”, redatto nell’estate del 1978.

L’autodissoluzione

Al processo che si tiene a Livorno fra il giugno del 1979 ed il luglio del 1981 alcuni militanti presentano un documento in cui viene ufficialmente annunciato l’autodissolvimento della loro organizzazione. Il 4 ottobre 1979, nel corso di un processo a Torino, verrà ricordato in un documento il militante Salvatore Cinieri, ucciso in carcere il 27 del mese precedente da quel medesimo detenuto, Fugueras, che nell’ 81 presso il carcere di Cuneo aggredirà a coltellate Moretti e il Prof. Enrico Fenzi, colui al quale Faina aveva anni prima presentato il dirigente della colonna genovese delle BR, Rocco Micaletto.